Fabio Zonta per Canova – Paola Bonifacio

Il sublime, quell’emozione di profonda reverenza prossima al terrore, ispirata dai fenomeni naturali, nasce   anche da opere che esprimono una grandiosità sovrumana, non spiegabile con i normali criteri critici, in cui predominano aspetti nobili e solenni dettati da nuove regole dell’arte.

Il sublime neoclassico è il linguaggio del cuore inteso come l’espressione che rende migliori, segno tipico della vera sensibilità, per nulla incompatibile, come sembrerebbe, con gli ideali razionali. L’opera che si rivolge a questo modo di sentire assume infatti una valenza universale, interessa gli uomini tutti nelle loro emozioni più pure e semplici: l’animo – e questo è un aspetto determinante –  è identificato con la ragione. E’ quindi ricercata dall’artista l’efficacia emotiva, che, pur avendo valore simile ovunque e nel tempo, è una caratteristica soggettiva, a differenza della bellezza, che è assoluta.  

Sublime e natura si affacciano lungo il percorso di Fabio Zonta proprio in queste modalità, trovo.

Non un caso l’attrazione dell’artista per la restituzione accorata, puntuale e rigorosa, di una natura nobile perchè diversa da quella comune solo per un più alto grado di purezza, e, per così dire, intelligibilità. Una natura più vera ed elevata del naturalismo, che riporta al concetto di tentare di rendere giustizia alla natura come tale trasformandola in “idealismo naturalistico”.

La classicità canoviana idealizza la natura nell’arte attraverso un processo razionale di selezione e combinazione delle parti più perfette, risolvendo l’apparente dicotomia tra natura e ideale.

Il processo è quello dell’imitazione. Anton Raphael Mengs sostiene che il vero Artista “… studia e osserva le opere dei grandi uomini con il sincero desiderio di imitarle, si rende capace di produrre opere che ad esse assomigliano, perché considera le ragioni con le quali sono state fatte…Gli scultori antichi, in particolare, hanno, a lungo e infaticabilmente studiato la natura, lasciando modelli di perfetta forma della natura e di opere d’arte di cui è stata già compiuta una selezione dalla natura”.

Le immagini di Canova realizzate da Zonta paiono allora procedere in sintonia allora con le celebri indicazioni winckelmanniane: l’artista parte da lì, e crea i suoi lavori partendo dalle ragioni che hanno originato l’opera canovianatrasformandole nelle proprie, sulla strada del sublime soggettivo e universale.

Nella delicata e rigorosa operazione creativa che ne nasce, fondamentale è la luce, in grado di costruire, reinventandola attraverso un puntuale lavoro di verifica e messa a punto che precede ogni scatto scelto, un’inedita esperienza creativa.

I lavori fotografici  che risultano da questo procedimento, richiamano una dimensione nuova, concentrano un nuovo spazio intorno a sé. I soggetti prendono corpo ora grazie ai diversi toni d’ombra-colore creati dall’artista, che ridisegnano le superfici delle sculture, i loro elementi accessori, le diverse rigidità e morbidezze della materia, tracciano i confini tra la figura e lo spazio, evocano anche ciò che non si vede ma si può immaginare: in definitiva, creano la visione.  

Ne nasce una lettura sospesa e, allo stesso tempo, lirica, emotivamente coinvolgente e universale delle opere canoviane.

L’intimità, il dolore, la solennità dei ritratti o la monumentalità degli eroi, nelle immagini che Zonta analizza e costruisce si consegnano così allo sguardo completamente metamorfosati: acquisiscono nuova forma quali inedite architetture di luce e sentimento universali.

 

 

Paola Bonifacio